POLITICAPP | 7 luglio 2017
La metamorfosi del Paese
In crescita le faglie su immigrati e lavoro flessibile
Il nostro Paese è in transizione. Dal 2011 a oggi, il susseguirsi convulso e affannoso degli eventi ha contribuito a generare una metamorfosi del quadro politico e sociale nazionale. La formazione del governo Monti, la campagna elettorale senza chiari vincitori del 2013, l’ascesa dei Cinquestelle e Renzi, la tripolarizzazione asimmetrica dello scenario politico fino al referendum Costituzionale, la pentapolarizzazione politica che ne è seguita, con la scissione nel PD e il riemergere di pulsioni moderate e centriste, sono solo alcune delle tappe che hanno segnato gli ultimi 6 anni. Un’evoluzione entropica e frastagliata cui ha fatto da sfondo il lungo travaglio economico del Paese, il permanere dei freni e dei pesi della crisi, l’acuirsi dei disastri bancari, la stagnazione sociale, lo sfarinamento del ceto medio, le incertezze occupazionali, l’accrescersi dei flussi migratori e della sensazione d’insicurezza. Sul fronte internazionale, intanto, i segnali d’instabilità e incertezza si sono moltiplicati, con l’esplodere del terrorismo internazionale, la Brexit, Trump, le elezioni in Austria, l’emergenza siriana, Macron, la crisi dei Tory inglesi. Il nostro Paese esce da questi sei anni convulsi, segnato da un crogiolo di contraddizioni globali e nostrane, marcato a fuoco da un processo di mutamento sottotraccia dei principali cleavages (delle faglie sociali che strutturano l’identificarsi politico del Paese). Nel corso del secolo scorso le fratture sociali (i fattori all’origine della nascita dei partiti) si sono strutturate intorno a quattro differenti generatori conflittuali: centro contro periferia; capitale contro lavoro; Stato contro Chiesa; città contro campagna. Oggi queste linee di separazione sono superate. Nuove faglie, però, si vanno affermando, a dimostrazione del fatto che il processo di mutamento è permanente: un continuo fluire evolutivo, che genera cambiamenti strutturali e ridefinizioni dei blocchi socio-politici.
La prima e più consistente nuova frattura scorre lungo l’asse onesti-furbi.
È la linea di separazione in vetta alla classifica (8,2 in una scala da 1 a 10) e coinvolge tutti i segmenti sociali e anagrafici. La seconda spaccatura si rintraccia lungo i confini classici del confronto tra ricchezza e povertà, acuita, nel tempo, dall’accrescersi dello iato tra una minoranza di privilegiati benestanti e una maggioranza in difficoltà, avvolta nelle dinamiche d’incertezza economica. Con 8 punti su 10, la faglia è avvertita, soprattutto, dai ceti medio-bassi e da quelli marginali. Oltre queste due fratture, incontriamo nelle fondamenta del Paese, almeno altre tre incrinature dirimenti. La prima è quella che separa il lavoro flessibile da quello stabile. Fino a pochi anni fa il tema era in quinta posizione. Oggi è balzato in avanti, collocandosi direttamente al terzo posto (7,7). Lavoro stabile contro flessibile è una fenditura che coinvolge maggiormente i Baby boomers (i cinquanta-sessantenni), i ceti sociali medio-bassi e quelli marginali. Balzo in avanti anche per la fessura che percorre il crinale italiani versus immigrati. Il salto anche qui non è da poco. Nel giro di pochi anni il tema è passato dal settimo posto al quarto, con 7,6 punti su 10. Questa faglia coinvolge i Millennials (gli under 24 anni) e le persone dei ceti economicamente disagiate (7,9). Da sempre nei primi posti della classifica delle fratture sociali resta salda la spaccatura tra il bisogno di equità e le crescenti diseguaglianze (7,6).
Le fratture sociali che alimentano i partiti
Tasse, sfiducia nelle élite, depotenziamento nella possibilità di consumo, insicurezza, esclusione sociale e pulsioni anti-euro, compongono il quadro complessivo delle faglie in grado di smuovere voti e consensi nel Paese.
L’analisi delle fratture sociali, come ci ricorda il politologo norvegese Stein Rokkan, è centrale per comprendere le traiettorie future del Paese. È lungo tali fenditure, infatti, che si vanno identificando i confini dei blocchi sociali e si rintracciano i tratti delle nuove saldature che generano consenso o freddezza degli elettori. Se analizziamo il quadro politico nazionale, scorrendo la relazione tra i partiti e le fratture, scopriamo un quadro indicativo.
I Cinquestelle trovano la loro ragion d’essere nella capacità di pescare, a vario titolo, da alcune faglie caratterizzanti: da quella ricchi-poveri (attualmente la più forte per M5S), passando per onesti-furbi, fino a congiungersi con il tema del lavoro flessibile e del distacco dalle élite. Il PD, per parte sua, è il partito che pesca dal maggior numero di temi. Esso è mediano su tutti i principali temi di consenso, senza avere dei tratti peculiari e particolarmente caratterizzanti. Ciò rappresenta sia la sua forza (la capacità di dialogare su molti temi con la società), sia la sua debolezza (la difficoltà a identificare, da parte delle persone, un tratto empatico qualificante).
La Lega Nord, invece, ha saputo ritrovare sul concetto “prima gli italiani” un tratto identitario qualificante. Collocato lungo la faglia immigrati-italiani, il partito di Salvini è stato capace di ri-posizionarsi sia su temi come Italia-Europa, euro-non euro, sia su aspetti come quello delle tasse e dello iato popolo-élite. Forza Italia ha perso molti dei suoi ancoraggi e si dimostra un partito dall’identità ormai resistenziale, con una difficoltà strutturale a definire un discorso politico in grado di rinsaldare il proprio legame con l’opinione pubblica. Sul tema delle tasse, storicamente di suo appannaggio, l’intensità si è sbiadita. Sul fronte dell’immigrazione l’elettorato forzista è attratto dall’orbita leghista. Sull’orizzonte europeo le pulsioni presenti nel corpo elettorale sembrano più euroscettiche dei vertici. Indicative, infine, sono le fenditure presenti nella vasta nuvola degli indecisi: onesti-furbi, lavoro stabile, equità, tasse, sono tutti i temi su cui cercano (e non trovano) risposte nell’offerta politica attuale. Il Paese oggi ha voglia di ritornare a crescere e appare particolarmente sfibrato da due ulteriori temi. In primo luogo dall’austerity. Una strategia che ha generato, per gli italiani, più danni che vantaggi. In seconda battuta dal tema del valore del lavoro oggi. Dopo anni di stipendi bloccati, le persone non ne possono più di sentir parlare del costo del lavoro. Non credono che il dinamismo economico e la capacità competitiva del nostro Paese dipendano dall’intervenire al ribasso sui salari. La metamorfosi del quadro socio-politico nazionale è in itinere. Non terminerà con la campagna elettorale, ma in essa le persone cercheranno risposte. Cercheranno riscontri in termini di proposte, ma, soprattutto, cercheranno risposte in termini di donne e uomini in grado di incarnare un percorso di cambiamento. Il Paese reale è attraversato da numerose faglie e le persone sono alla ricerca di idee ma anche di sogni, di buone dosi di empatia, di emotività, di calore umano e leaderistico.
Il nostro Paese è in transizione. Dal 2011 a oggi, il susseguirsi convulso e affannoso degli eventi ha contribuito a generare una metamorfosi del quadro politico e sociale nazionale. La formazione del governo Monti, la campagna elettorale senza chiari vincitori del 2013, l’ascesa dei Cinquestelle e Renzi, la tripolarizzazione asimmetrica dello scenario politico fino al referendum Costituzionale, la pentapolarizzazione politica che ne è seguita, con la scissione nel PD e il riemergere di pulsioni moderate e centriste, sono solo alcune delle tappe che hanno segnato gli ultimi 6 anni. Un’evoluzione entropica e frastagliata cui ha fatto da sfondo il lungo travaglio economico del Paese, il permanere dei freni e dei pesi della crisi, l’acuirsi dei disastri bancari, la stagnazione sociale, lo sfarinamento del ceto medio, le incertezze occupazionali, l’accrescersi dei flussi migratori e della sensazione d’insicurezza. Sul fronte internazionale, intanto, i segnali d’instabilità e incertezza si sono moltiplicati, con l’esplodere del terrorismo internazionale, la Brexit, Trump, le elezioni in Austria, l’emergenza siriana, Macron, la crisi dei Tory inglesi. Il nostro Paese esce da questi sei anni convulsi, segnato da un crogiolo di contraddizioni globali e nostrane, marcato a fuoco da un processo di mutamento sottotraccia dei principali cleavages (delle faglie sociali che strutturano l’identificarsi politico del Paese). Nel corso del secolo scorso le fratture sociali (i fattori all’origine della nascita dei partiti) si sono strutturate intorno a quattro differenti generatori conflittuali: centro contro periferia; capitale contro lavoro; Stato contro Chiesa; città contro campagna. Oggi queste linee di separazione sono superate. Nuove faglie, però, si vanno affermando, a dimostrazione del fatto che il processo di mutamento è permanente: un continuo fluire evolutivo, che genera cambiamenti strutturali e ridefinizioni dei blocchi socio-politici.
La prima e più consistente nuova frattura scorre lungo l’asse onesti-furbi.
È la linea di separazione in vetta alla classifica (8,2 in una scala da 1 a 10) e coinvolge tutti i segmenti sociali e anagrafici. La seconda spaccatura si rintraccia lungo i confini classici del confronto tra ricchezza e povertà, acuita, nel tempo, dall’accrescersi dello iato tra una minoranza di privilegiati benestanti e una maggioranza in difficoltà, avvolta nelle dinamiche d’incertezza economica. Con 8 punti su 10, la faglia è avvertita, soprattutto, dai ceti medio-bassi e da quelli marginali. Oltre queste due fratture, incontriamo nelle fondamenta del Paese, almeno altre tre incrinature dirimenti. La prima è quella che separa il lavoro flessibile da quello stabile. Fino a pochi anni fa il tema era in quinta posizione. Oggi è balzato in avanti, collocandosi direttamente al terzo posto (7,7). Lavoro stabile contro flessibile è una fenditura che coinvolge maggiormente i Baby boomers (i cinquanta-sessantenni), i ceti sociali medio-bassi e quelli marginali. Balzo in avanti anche per la fessura che percorre il crinale italiani versus immigrati. Il salto anche qui non è da poco. Nel giro di pochi anni il tema è passato dal settimo posto al quarto, con 7,6 punti su 10. Questa faglia coinvolge i Millennials (gli under 24 anni) e le persone dei ceti economicamente disagiate (7,9). Da sempre nei primi posti della classifica delle fratture sociali resta salda la spaccatura tra il bisogno di equità e le crescenti diseguaglianze (7,6).
Le fratture sociali che alimentano i partiti
Tasse, sfiducia nelle élite, depotenziamento nella possibilità di consumo, insicurezza, esclusione sociale e pulsioni anti-euro, compongono il quadro complessivo delle faglie in grado di smuovere voti e consensi nel Paese.
L’analisi delle fratture sociali, come ci ricorda il politologo norvegese Stein Rokkan, è centrale per comprendere le traiettorie future del Paese. È lungo tali fenditure, infatti, che si vanno identificando i confini dei blocchi sociali e si rintracciano i tratti delle nuove saldature che generano consenso o freddezza degli elettori. Se analizziamo il quadro politico nazionale, scorrendo la relazione tra i partiti e le fratture, scopriamo un quadro indicativo.
I Cinquestelle trovano la loro ragion d’essere nella capacità di pescare, a vario titolo, da alcune faglie caratterizzanti: da quella ricchi-poveri (attualmente la più forte per M5S), passando per onesti-furbi, fino a congiungersi con il tema del lavoro flessibile e del distacco dalle élite. Il PD, per parte sua, è il partito che pesca dal maggior numero di temi. Esso è mediano su tutti i principali temi di consenso, senza avere dei tratti peculiari e particolarmente caratterizzanti. Ciò rappresenta sia la sua forza (la capacità di dialogare su molti temi con la società), sia la sua debolezza (la difficoltà a identificare, da parte delle persone, un tratto empatico qualificante).
La Lega Nord, invece, ha saputo ritrovare sul concetto “prima gli italiani” un tratto identitario qualificante. Collocato lungo la faglia immigrati-italiani, il partito di Salvini è stato capace di ri-posizionarsi sia su temi come Italia-Europa, euro-non euro, sia su aspetti come quello delle tasse e dello iato popolo-élite. Forza Italia ha perso molti dei suoi ancoraggi e si dimostra un partito dall’identità ormai resistenziale, con una difficoltà strutturale a definire un discorso politico in grado di rinsaldare il proprio legame con l’opinione pubblica. Sul tema delle tasse, storicamente di suo appannaggio, l’intensità si è sbiadita. Sul fronte dell’immigrazione l’elettorato forzista è attratto dall’orbita leghista. Sull’orizzonte europeo le pulsioni presenti nel corpo elettorale sembrano più euroscettiche dei vertici. Indicative, infine, sono le fenditure presenti nella vasta nuvola degli indecisi: onesti-furbi, lavoro stabile, equità, tasse, sono tutti i temi su cui cercano (e non trovano) risposte nell’offerta politica attuale. Il Paese oggi ha voglia di ritornare a crescere e appare particolarmente sfibrato da due ulteriori temi. In primo luogo dall’austerity. Una strategia che ha generato, per gli italiani, più danni che vantaggi. In seconda battuta dal tema del valore del lavoro oggi. Dopo anni di stipendi bloccati, le persone non ne possono più di sentir parlare del costo del lavoro. Non credono che il dinamismo economico e la capacità competitiva del nostro Paese dipendano dall’intervenire al ribasso sui salari. La metamorfosi del quadro socio-politico nazionale è in itinere. Non terminerà con la campagna elettorale, ma in essa le persone cercheranno risposte. Cercheranno riscontri in termini di proposte, ma, soprattutto, cercheranno risposte in termini di donne e uomini in grado di incarnare un percorso di cambiamento. Il Paese reale è attraversato da numerose faglie e le persone sono alla ricerca di idee ma anche di sogni, di buone dosi di empatia, di emotività, di calore umano e leaderistico.