POLITICAPP | 1 giugno 2017
La crisi della rappresentanza
La crisi della rappresentanza sfida per la democrazia
La crisi dei corpi intermedi e del sistema della rappresentanza è l’emblema della fine di un’epoca, ma anche il simbolo della difficoltà in cui si dibatte il nostro sistema democratico. La caduta di consenso, presa sociale, fiducia e appeal delle associazioni di rappresentanza porta con sé la fine del modello di società e politica sorto alla fine della seconda guerra mondiale, fiorito nel corso degli anni Settanta del secolo scorso e sfiorito lentamente e inesorabilmente nel corso degli ultimi dieci anni. Nell’opinione pubblica nazionale l’associazionismo e gli istituti di rappresentanza non godono di buona salute. Il 38% degli italiani non ha fiducia in alcuna associazione. Le strutture di rappresentanza che raccolgono i maggiori consensi non superano il 10% della popolazione. Per i cittadini gran parte delle associazioni e dei sindacati (con in testa Confindustria) fanno parte della casta, mentre lontane dall’entità bramosa del potere appaiono solo Coldiretti, Cna e Confartigianato, Legacoop, Cgil.
La fiducia nei sindacati è crollata dal 73% del 2003 al 18% del 2016, mentre, contemporaneamente, l’importanza e l’utilità della funzione sindacale è calata in modo più graduale, passando dal 68% del 2003 al 49% del 2016. Una caduta, quest’ultima, che sembra arrestata, poiché dal 2012 a oggi il trend è in leggera ripresa (+3%). I fattori che sono all’origine della crisi del sistema della rappresentanza sono molteplici. La crisi del sistema dei partiti, di cui le associazioni sono state per decenni una delle articolazioni sociali, è certamente il primo degli elementi generatori. Sulla perdita di senso e consenso hanno inciso, come ha più volte sottolineato Giuseppe De Rita, fattori quali la frammentazione del lavoro di rappresentanza, che si è orientato sempre di più al particolarismo; la crescente “orizzontalità della dinamica economica e della decisionalità politica”; la “verticalizzazione e la personalizzazione delle dinamiche interne”, con l’affermarsi di forme di neo leaderismo mediatico. A incidere in modo determinante sulla perdita di appeal sono state, tuttavia, alcune scelte effettuate nel tempo dai rappresentati delle associazioni: la preferenza per la strada lobbista; la progressiva corporativizzazione dell’azione associativa e la conseguente perdita della dimensione d’insieme e progettuale sul Paese; la corsa ai servizi e agli sportelli per gli associati, con la conseguente esplosione degli apparati e la perdita della dimensione più politica dell’associazionismo; la limitata cura nella formazione di gruppi dirigenti articolati, concedendo spazio alla generazione di micro élite autoreferenziali. Lo scollamento tra le associazioni e il corpo sociale italiano non si è determinato solo nei confronti dell’opinione pubblica, ma anche rispetto agli stessi soggetti che gli enti dovrebbero rappresentare, con una riduzione della partecipazione e delle forme di adesione attiva.
Un nuovo modello di fare rappresentanza?
La crisi dei corpi intermedi non è una buona notizia per il nostro sistema.
La democrazia, per funzionare ed essere attiva e costruttiva, ha bisogno di casse di compensazione e mediazione delle diverse istanze. La democrazia è equilibrio tra le spinte e bisogni differenti; è esercizio della responsabilità politica di tutti i cittadini, mediante la partecipazione a processi decisionari trasparenti.
I corpi intermedi, oggi più di ieri, restano centrali per un sistema democratico, perché sono lo strumento che unisce trasparenza, qualità e riconoscibilità della rappresentanza; perché sono la cura democratica alle tendenze neo-plebiscitarie che aleggiano nel nostro continente.
Il futuro della democrazia del nostro Paese, quindi, passa anche per la rigenerazione del ruolo e della funzione dei corpi intermedi. Un percorso che si potrebbe fondare sulla capacità dei diversi corpi intermedi di ridisegnare, dal basso, funzioni e mission, transitando dall’essere associazioni di tutela a generatori di comunità (attori del cambiamento e della progettazione del futuro economico e sociale del Paese).
Un percorso sul quale incontriamo alcuni temi dirimenti, su cui le associazioni giocheranno la propria capacità di rigenerazione: l’impegno a ridefinire e selezionare i gruppi dirigenti in ragione della progettazione del futuro del proprio settore, combattendo eventuali nuove nomenclature; lo sviluppo di una nuova relazione con i territori e con il complesso della società civile ed economica locale; il superamento di qualunque pulsione lobbistica e della mera logica dei servizi, per assumere il ruolo di coach, di costruttori di opportunità e sostenitori dei processi di trasformazione dei propri settori; lo sviluppo delle logiche di networking settoriale, in grado di sviluppare reti di relazioni e capitale sociale; l’investimento nell’innovazione tecnologica e nei saperi, con l’obiettivo di favorire e alimentare la classe dirigente nazionale; la cura dei giovani, l’investimento sui talenti, l’attenzione a un modello di società ancorata a scelte di equità e merito; infine, la generazione di un nuovo modello di partecipazione, attivazione e adesione, in modo da limitare le pulsioni corporative e creare un flusso continuo tra le esigenze di tutela settoriale e la strategia di sviluppo del Paese.
La sfida che le associazioni di rappresentanza hanno di fronte a sé è ampia e non si gioca sul fronte della sopravvivenza, ma su quello ben più ampio della gemmazione di un nuovo modello di democrazia sociale, capace di riattivare il tessuto civico e partecipativo delle molteplici istanze presenti nel nostro Paese.
La società è liquida, ma ha bisogno di nuovi strumenti per navigare e creare comunità e le associazioni sono una delle navi per veleggiare nel mare aperto di fronte a noi.
La crisi dei corpi intermedi e del sistema della rappresentanza è l’emblema della fine di un’epoca, ma anche il simbolo della difficoltà in cui si dibatte il nostro sistema democratico. La caduta di consenso, presa sociale, fiducia e appeal delle associazioni di rappresentanza porta con sé la fine del modello di società e politica sorto alla fine della seconda guerra mondiale, fiorito nel corso degli anni Settanta del secolo scorso e sfiorito lentamente e inesorabilmente nel corso degli ultimi dieci anni. Nell’opinione pubblica nazionale l’associazionismo e gli istituti di rappresentanza non godono di buona salute. Il 38% degli italiani non ha fiducia in alcuna associazione. Le strutture di rappresentanza che raccolgono i maggiori consensi non superano il 10% della popolazione. Per i cittadini gran parte delle associazioni e dei sindacati (con in testa Confindustria) fanno parte della casta, mentre lontane dall’entità bramosa del potere appaiono solo Coldiretti, Cna e Confartigianato, Legacoop, Cgil.
La fiducia nei sindacati è crollata dal 73% del 2003 al 18% del 2016, mentre, contemporaneamente, l’importanza e l’utilità della funzione sindacale è calata in modo più graduale, passando dal 68% del 2003 al 49% del 2016. Una caduta, quest’ultima, che sembra arrestata, poiché dal 2012 a oggi il trend è in leggera ripresa (+3%). I fattori che sono all’origine della crisi del sistema della rappresentanza sono molteplici. La crisi del sistema dei partiti, di cui le associazioni sono state per decenni una delle articolazioni sociali, è certamente il primo degli elementi generatori. Sulla perdita di senso e consenso hanno inciso, come ha più volte sottolineato Giuseppe De Rita, fattori quali la frammentazione del lavoro di rappresentanza, che si è orientato sempre di più al particolarismo; la crescente “orizzontalità della dinamica economica e della decisionalità politica”; la “verticalizzazione e la personalizzazione delle dinamiche interne”, con l’affermarsi di forme di neo leaderismo mediatico. A incidere in modo determinante sulla perdita di appeal sono state, tuttavia, alcune scelte effettuate nel tempo dai rappresentati delle associazioni: la preferenza per la strada lobbista; la progressiva corporativizzazione dell’azione associativa e la conseguente perdita della dimensione d’insieme e progettuale sul Paese; la corsa ai servizi e agli sportelli per gli associati, con la conseguente esplosione degli apparati e la perdita della dimensione più politica dell’associazionismo; la limitata cura nella formazione di gruppi dirigenti articolati, concedendo spazio alla generazione di micro élite autoreferenziali. Lo scollamento tra le associazioni e il corpo sociale italiano non si è determinato solo nei confronti dell’opinione pubblica, ma anche rispetto agli stessi soggetti che gli enti dovrebbero rappresentare, con una riduzione della partecipazione e delle forme di adesione attiva.
Un nuovo modello di fare rappresentanza?
La crisi dei corpi intermedi non è una buona notizia per il nostro sistema.
La democrazia, per funzionare ed essere attiva e costruttiva, ha bisogno di casse di compensazione e mediazione delle diverse istanze. La democrazia è equilibrio tra le spinte e bisogni differenti; è esercizio della responsabilità politica di tutti i cittadini, mediante la partecipazione a processi decisionari trasparenti.
I corpi intermedi, oggi più di ieri, restano centrali per un sistema democratico, perché sono lo strumento che unisce trasparenza, qualità e riconoscibilità della rappresentanza; perché sono la cura democratica alle tendenze neo-plebiscitarie che aleggiano nel nostro continente.
Il futuro della democrazia del nostro Paese, quindi, passa anche per la rigenerazione del ruolo e della funzione dei corpi intermedi. Un percorso che si potrebbe fondare sulla capacità dei diversi corpi intermedi di ridisegnare, dal basso, funzioni e mission, transitando dall’essere associazioni di tutela a generatori di comunità (attori del cambiamento e della progettazione del futuro economico e sociale del Paese).
Un percorso sul quale incontriamo alcuni temi dirimenti, su cui le associazioni giocheranno la propria capacità di rigenerazione: l’impegno a ridefinire e selezionare i gruppi dirigenti in ragione della progettazione del futuro del proprio settore, combattendo eventuali nuove nomenclature; lo sviluppo di una nuova relazione con i territori e con il complesso della società civile ed economica locale; il superamento di qualunque pulsione lobbistica e della mera logica dei servizi, per assumere il ruolo di coach, di costruttori di opportunità e sostenitori dei processi di trasformazione dei propri settori; lo sviluppo delle logiche di networking settoriale, in grado di sviluppare reti di relazioni e capitale sociale; l’investimento nell’innovazione tecnologica e nei saperi, con l’obiettivo di favorire e alimentare la classe dirigente nazionale; la cura dei giovani, l’investimento sui talenti, l’attenzione a un modello di società ancorata a scelte di equità e merito; infine, la generazione di un nuovo modello di partecipazione, attivazione e adesione, in modo da limitare le pulsioni corporative e creare un flusso continuo tra le esigenze di tutela settoriale e la strategia di sviluppo del Paese.
La sfida che le associazioni di rappresentanza hanno di fronte a sé è ampia e non si gioca sul fronte della sopravvivenza, ma su quello ben più ampio della gemmazione di un nuovo modello di democrazia sociale, capace di riattivare il tessuto civico e partecipativo delle molteplici istanze presenti nel nostro Paese.
La società è liquida, ma ha bisogno di nuovi strumenti per navigare e creare comunità e le associazioni sono una delle navi per veleggiare nel mare aperto di fronte a noi.