POLITICAPP | 5 maggio 2017
Il clima sociale che aleggia in Italia
Il cambio di congiuntura e la sfida politica del futuro
L’Italia? Eppur si muove, si potrebbe dire, prendendo a prestito una famosa frase attribuita a Galileo Galilei.
I dati strutturali restano allarmanti: più di 8 milioni di poveri, tra i quali, circa 4 milioni e mezzo, vivono in condizioni di povertà assoluta (al di sotto del minimo indispensabile). Il quadro sociale nostrano, purtuttavia, mostra cenni di miglioramento. Con la fatica tipica di chi cerca di risalire la montagna con un macigno sulle spalle (e con il rischio di ruzzolare sempre giù come Sisifo), il nostro Paese si sta muovendo. Le nuvole restano, ma il tratto del clima sociale sta mutando. Fino a pochi anni fa le persone vivevano sotto la spada di Damocle della crisi: con il timore di doversi indebitare, di veder bruciati i propri risparmi o di non riuscire più a mantenere il proprio tenore di vita. Per molti, purtroppo, è stato così. Le persone hanno imparato a fare i conti con la crisi.
Hanno tagliato, limato, rivisitato i contenuti della loro esistenza, mediando tra attese e possibilità. Lo stile di vita, per molti, è mutato; gli orizzonti di scopo e i fini personali si sono ridefiniti.
Dopo anni di apprensione le cose stanno iniziando a cambiare di colore. La crisi morde meno e le paure di matrice economica sono in calo. Il timore di indebitarsi diminuisce del 6%; il rischio di perdere i risparmi cala di 11 punti; la paura di non riuscire a mantenere il proprio stile di vita decresce del 7%.
Sono in crescita, invece, le forme di apprensione generate dal futuro corto. Lievita la paura di non riuscire ad avere i mezzi per prendersi cura di se stessi o di un familiare (+11%) e corre in avanti l’angoscia per non riuscire ad aiutare e sostenere i propri figli (+7%). A sostegno della valutazione di mutamento intervengono anche altri dati. Sono in diminuzione molti tratti di matrice reddituale: cala, rispetto al 2013, la paura di non riuscire a pagare le bollette (-12%); scende l’ansia di non poter fare acquisti non alimentari (-16%); si riduce l’apprensione per le spese della casa (-7% per mutuo, affitto, condominio...); scemano le nuvole sulle spese per l'istruzione dei figli (-7% per libri, tasse...) e, infine, frenano i timori sulla capacità di far fronte alle spese per generi alimentari (-11%).
Parallelamente, sono in via di ridefinizione anche le pulsioni emotive. Un primo indizio affiora dal tema felicità personale percepita. Nel 2013, il 24% dell’opinione pubblica si diceva felice, mentre il 51% si definiva molto infelice o infelice.
La crisi rallenta, ma cresce il rancore
Oggi il quadro è lievemente rasserenato. Quanti si dicono felici sono aumentati di 8 punti, salendo al 32%; mentre quanti si percepivano infelici sono diminuiti dell’11%, passando al 40% (una dimensione che resta, tuttavia, sempre maggioritaria nel Paese).
A vivere maggiormente i sentimenti di relativa serenità sono gli elettori di Forza Italia (46%) e PD (42%). Minore, invece, il livello di serenità che circola tra quanti votano per Lega Nord (23%) e Cinquestelle (26%).
Se transitiamo dal tema della felicità percepita a quello delle emozioni viscerali del momento, il dipinto cambia colore. Qui entrano in gioco i fattori socio-politici e le dinamiche complessive del Paese.
L’affresco abbandona le tinte pastello, per assumere tratti grigi e opachi.
In netta crescita è la sensazione di disgusto per come vanno le cose in Italia (+13% in otto mesi). Fa un balzo in avanti anche la tristezza (+6%), mentre la rabbia continua a covare e crescere (+3%). In ulteriore calo risulta, invece, la fiducia (-6%).
Il clima del Paese, quindi, permane sotto il segno della triade del risentimento: disgusto (34%), tristezza (32%) e rabbia (30%). La prima coinvolge maggiormente i ceti bassi (46%), gli uomini e quanti votano per M5S (39%); la seconda fa proseliti tra i Millennials (42%); la rabbia regna incontrastata tra gli elettori della Lega Nord (40%).
I sentimenti di paura sono più stazionari e colpiscono, soprattutto, le persone con livelli d’istruzione più bassi (più deboli di fronte ai cambiamenti che si prospettano) e l’universo femminile (31% rispetto al 21% di media).
Il quadro del clima sociale che si dipana di fronte ai nostri occhi è abbastanza nitido: da un lato, abbiamo un progressivo allentarsi della pressione della crisi (senza purtuttavia essere superata o archiviata), con un timido rasserenamento del clima personale, per almeno un terzo degli italiani (anche se il clima dominate resta quello infausto); dall’altro lato, frenano le speranze, lievitano i sentimenti rancorosi, radicalizzanti e intolleranti.
Alla dinamica attuale contribuisce, e in maniera non secondaria, il complessivo clima di sfiducia verso la classe dirigente italiana (e non solo verso quella politica). Una bocciatura secca per parlamentari e politici nazionali, con un voto che, in una scala da 1 a 10, si ferma al 4,1. Sullo stesso piedistallo, in fondo alla pagella, incontriamo parti importanti delle élite nostrane: sindacalisti (4,1), vertici delle banche (4,2), vescovi (4,5).
La sfida per i partiti: costruire un’idea di futuro
Il giudizio d’insufficienza (il classico 5) colpisce, invece, giornalisti, parroci, dirigenti delle cooperative, avvocati, commercialisti e professionisti in genere. Non va meglio a magistrati, dirigenti, manager d’impresa e rappresentanti di associazioni di categoria: tutti tra il 5,3 e il 5,5. La delusione e il voto sotto il sei s’indirizza, infine, su professori universitari, commercianti, membri di comitati civici e personaggi della cultura.
Si salvano solo i medici e i membri delle associazioni di volontariato.
Il quadro multiforme che abbiamo di fronte a noi, mostra tutti i segni di un cambio di congiuntura, dell’aprirsi di una nuova fase politico-sociale. Le forze politiche hanno iniziato, nel frattempo, a far rullare i tamburi elettorali.
Il Paese non attende con fremito l’ennesima corsa alle urne, soprattutto perché coglie una certa impreparazione nei partiti. Il cambio di congiuntura implica un salto di qualità nelle attese degli italiani. Racchiude un quadro di aspettative che si colloca ad un livello superiore rispetto al mero confronto programmatico tra le parti e apre le porte alla ricerca di risposte di medio lungo periodo, a proiezioni organiche di futuro, a progetti di transizione dall’oggi per il domani. La portata della nuova sfida elettorale si gioca, oggi più che in passato, sulla capacità di individuare e disegnare il domani, di parlare di quale Italia saremo.
Se la morsa della crisi sta allentando la sua presa, altre paure crescono, molte incertezze incombono. In mancanza di proposte propulsive, di visioni emozionali sul futuro, la possibilità, per ampie fasce di elettori, di rifugiarsi in antri protezionistici, accarezzando idee di chiusura e muri, è dietro l’angolo. L’Italia è una nazione che è in cerca di segnali che parlino di opportunità per i figli, meritocrazia, economia giusta, green society, innovazione e giustizia sociale, sicurezza e cura delle famiglie. L’Italia di oggi è un Paese che scruta la politica alla ricerca di boe guida, in grado di parlare di lavoro e non solo di flessibilità e incertezza; di sviluppo sapendolo coniugare all’equità; di meno tasse e crescita, indirizzando le scelte verso una maggiore armonia economica e sociale. Futuro e avvenire, come ammonisce l’etnologo francese Marc Augé, sono “due espressioni della solidarietà essenziale che uniscono individuo e società”. In un’epoca d’incertezze e grandi tensioni, di diseguaglianze ed esodi umani, di cambio di congiuntura, il futuro e l’avvenire non sono discorsi vacui, ma fondamenta con cui confrontarsi, perché, come ricorda Jacques Séguéla, guru della pubblicità francese: “si vota per il futuro non per il passato”.
L’Italia? Eppur si muove, si potrebbe dire, prendendo a prestito una famosa frase attribuita a Galileo Galilei.
I dati strutturali restano allarmanti: più di 8 milioni di poveri, tra i quali, circa 4 milioni e mezzo, vivono in condizioni di povertà assoluta (al di sotto del minimo indispensabile). Il quadro sociale nostrano, purtuttavia, mostra cenni di miglioramento. Con la fatica tipica di chi cerca di risalire la montagna con un macigno sulle spalle (e con il rischio di ruzzolare sempre giù come Sisifo), il nostro Paese si sta muovendo. Le nuvole restano, ma il tratto del clima sociale sta mutando. Fino a pochi anni fa le persone vivevano sotto la spada di Damocle della crisi: con il timore di doversi indebitare, di veder bruciati i propri risparmi o di non riuscire più a mantenere il proprio tenore di vita. Per molti, purtroppo, è stato così. Le persone hanno imparato a fare i conti con la crisi.
Hanno tagliato, limato, rivisitato i contenuti della loro esistenza, mediando tra attese e possibilità. Lo stile di vita, per molti, è mutato; gli orizzonti di scopo e i fini personali si sono ridefiniti.
Dopo anni di apprensione le cose stanno iniziando a cambiare di colore. La crisi morde meno e le paure di matrice economica sono in calo. Il timore di indebitarsi diminuisce del 6%; il rischio di perdere i risparmi cala di 11 punti; la paura di non riuscire a mantenere il proprio stile di vita decresce del 7%.
Sono in crescita, invece, le forme di apprensione generate dal futuro corto. Lievita la paura di non riuscire ad avere i mezzi per prendersi cura di se stessi o di un familiare (+11%) e corre in avanti l’angoscia per non riuscire ad aiutare e sostenere i propri figli (+7%). A sostegno della valutazione di mutamento intervengono anche altri dati. Sono in diminuzione molti tratti di matrice reddituale: cala, rispetto al 2013, la paura di non riuscire a pagare le bollette (-12%); scende l’ansia di non poter fare acquisti non alimentari (-16%); si riduce l’apprensione per le spese della casa (-7% per mutuo, affitto, condominio...); scemano le nuvole sulle spese per l'istruzione dei figli (-7% per libri, tasse...) e, infine, frenano i timori sulla capacità di far fronte alle spese per generi alimentari (-11%).
Parallelamente, sono in via di ridefinizione anche le pulsioni emotive. Un primo indizio affiora dal tema felicità personale percepita. Nel 2013, il 24% dell’opinione pubblica si diceva felice, mentre il 51% si definiva molto infelice o infelice.
La crisi rallenta, ma cresce il rancore
Oggi il quadro è lievemente rasserenato. Quanti si dicono felici sono aumentati di 8 punti, salendo al 32%; mentre quanti si percepivano infelici sono diminuiti dell’11%, passando al 40% (una dimensione che resta, tuttavia, sempre maggioritaria nel Paese).
A vivere maggiormente i sentimenti di relativa serenità sono gli elettori di Forza Italia (46%) e PD (42%). Minore, invece, il livello di serenità che circola tra quanti votano per Lega Nord (23%) e Cinquestelle (26%).
Se transitiamo dal tema della felicità percepita a quello delle emozioni viscerali del momento, il dipinto cambia colore. Qui entrano in gioco i fattori socio-politici e le dinamiche complessive del Paese.
L’affresco abbandona le tinte pastello, per assumere tratti grigi e opachi.
In netta crescita è la sensazione di disgusto per come vanno le cose in Italia (+13% in otto mesi). Fa un balzo in avanti anche la tristezza (+6%), mentre la rabbia continua a covare e crescere (+3%). In ulteriore calo risulta, invece, la fiducia (-6%).
Il clima del Paese, quindi, permane sotto il segno della triade del risentimento: disgusto (34%), tristezza (32%) e rabbia (30%). La prima coinvolge maggiormente i ceti bassi (46%), gli uomini e quanti votano per M5S (39%); la seconda fa proseliti tra i Millennials (42%); la rabbia regna incontrastata tra gli elettori della Lega Nord (40%).
I sentimenti di paura sono più stazionari e colpiscono, soprattutto, le persone con livelli d’istruzione più bassi (più deboli di fronte ai cambiamenti che si prospettano) e l’universo femminile (31% rispetto al 21% di media).
Il quadro del clima sociale che si dipana di fronte ai nostri occhi è abbastanza nitido: da un lato, abbiamo un progressivo allentarsi della pressione della crisi (senza purtuttavia essere superata o archiviata), con un timido rasserenamento del clima personale, per almeno un terzo degli italiani (anche se il clima dominate resta quello infausto); dall’altro lato, frenano le speranze, lievitano i sentimenti rancorosi, radicalizzanti e intolleranti.
Alla dinamica attuale contribuisce, e in maniera non secondaria, il complessivo clima di sfiducia verso la classe dirigente italiana (e non solo verso quella politica). Una bocciatura secca per parlamentari e politici nazionali, con un voto che, in una scala da 1 a 10, si ferma al 4,1. Sullo stesso piedistallo, in fondo alla pagella, incontriamo parti importanti delle élite nostrane: sindacalisti (4,1), vertici delle banche (4,2), vescovi (4,5).
La sfida per i partiti: costruire un’idea di futuro
Il giudizio d’insufficienza (il classico 5) colpisce, invece, giornalisti, parroci, dirigenti delle cooperative, avvocati, commercialisti e professionisti in genere. Non va meglio a magistrati, dirigenti, manager d’impresa e rappresentanti di associazioni di categoria: tutti tra il 5,3 e il 5,5. La delusione e il voto sotto il sei s’indirizza, infine, su professori universitari, commercianti, membri di comitati civici e personaggi della cultura.
Si salvano solo i medici e i membri delle associazioni di volontariato.
Il quadro multiforme che abbiamo di fronte a noi, mostra tutti i segni di un cambio di congiuntura, dell’aprirsi di una nuova fase politico-sociale. Le forze politiche hanno iniziato, nel frattempo, a far rullare i tamburi elettorali.
Il Paese non attende con fremito l’ennesima corsa alle urne, soprattutto perché coglie una certa impreparazione nei partiti. Il cambio di congiuntura implica un salto di qualità nelle attese degli italiani. Racchiude un quadro di aspettative che si colloca ad un livello superiore rispetto al mero confronto programmatico tra le parti e apre le porte alla ricerca di risposte di medio lungo periodo, a proiezioni organiche di futuro, a progetti di transizione dall’oggi per il domani. La portata della nuova sfida elettorale si gioca, oggi più che in passato, sulla capacità di individuare e disegnare il domani, di parlare di quale Italia saremo.
Se la morsa della crisi sta allentando la sua presa, altre paure crescono, molte incertezze incombono. In mancanza di proposte propulsive, di visioni emozionali sul futuro, la possibilità, per ampie fasce di elettori, di rifugiarsi in antri protezionistici, accarezzando idee di chiusura e muri, è dietro l’angolo. L’Italia è una nazione che è in cerca di segnali che parlino di opportunità per i figli, meritocrazia, economia giusta, green society, innovazione e giustizia sociale, sicurezza e cura delle famiglie. L’Italia di oggi è un Paese che scruta la politica alla ricerca di boe guida, in grado di parlare di lavoro e non solo di flessibilità e incertezza; di sviluppo sapendolo coniugare all’equità; di meno tasse e crescita, indirizzando le scelte verso una maggiore armonia economica e sociale. Futuro e avvenire, come ammonisce l’etnologo francese Marc Augé, sono “due espressioni della solidarietà essenziale che uniscono individuo e società”. In un’epoca d’incertezze e grandi tensioni, di diseguaglianze ed esodi umani, di cambio di congiuntura, il futuro e l’avvenire non sono discorsi vacui, ma fondamenta con cui confrontarsi, perché, come ricorda Jacques Séguéla, guru della pubblicità francese: “si vota per il futuro non per il passato”.