POLITICAPP | 21 luglio 2017
Fiscal Compact
Uno stop netto e secco alle politiche di austerity
Ripartire. Gli italiani vogliono sentire parlare di futuro e non ne possono più di austerity, vincoli, norme europee, di buchi, disastri economici, fallimenti bancari e di furbetti impuniti di vario genere. In molti sono coscienti che il debito pubblico è un macigno, ma l’obiettivo, per il 72% degli italiani, è allentare, mitigare le pulsioni rigoriste per aprire una nuova stagione di investimenti per la crescita. Il tema del fiscal compact, che agita le acque della politica e dei media, s’inserisce in questo quadro.
Su di esso le idee dell’opinione pubblica, pur nella nebulosa complessità dell’argomento, appaiono sufficientemente delineate.
Il fronte dell’allentamento dei vincoli è composto dal 73% degli elettori del PD, dal 64% di quelli di Forza Italia, dal 59% dei leghisti e dal 53% dei grillini.
Non devono stupire i dati un po’ calmierati delle platee elettorali tradizionalmente antieuropeiste. La conclamata tendenza italica alle tifoserie è sempre all’opera e alimenta l’abitudine a schierarsi in base all’autore delle proposte e non al loro contenuto. Nonostante tale predisposizione d’animo, le ipotesi d’intervento sul fiscal compact riescono a valicare il Rubicone della metà del Paese, con il 51% degli italiani schierato per l’allentamento delle regole, mentre solo un quarto si colloca su posizioni di osservanza del rigore europeo (il restante 25% non ha ancora sciolto la riserva). La discussione che si è aperta ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione su un tema molto lontano dal quotidiano vivere delle persone.
Così, improvvisamente, gli italiani hanno scoperto che cosa è il “fiscal compact” e hanno iniziato a conoscere, almeno in maggioranza (54%), i contenuti del “trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione”. Scorporando i diversi aspetti del patto di responsabilità di bilancio, è possibile cogliere le valutazioni degli italiani sulle singole prescrizioni.
Partendo dall'obbligo dell'inserimento di pareggio di bilancio (il sostanziale equilibrio tra entrate e uscite) nella carta Costituzionale, scopriamo che la maggioranza relativa del Paese (il 47%) è avversa a tale dettame.
Investire sul futuro, non solo limiti e vincoli
L’obbligo, in Costituzione dall’aprile 2012, dovrebbe essere cancellato (per il 18% dei cittadini) o almeno ridotto (29%), mentre sulla linea della preservazione di schiera solo il 24% del Paese (il restante 29% per ora non si pronuncia).
Sorte analoga tocca al vincolo dello 0,5% di deficit “strutturale” (non legato a emergenze) rispetto al prodotto interno lordo. La modifica dell’obiettivo è sostenuta dal 44% dell’opinione pubblica, mentre a sua difesa si erge solo il 17%. Deciso il no all'obbligo di mantenere al massimo del 3% il rapporto tra deficit e Pil: il via al tetto è agognato dal 47% (comprendente il 15% di quanti sono per la cancellazione totale della prescrizione), mentre il fronte della sua salvaguardia è rappresentato dal 20% dell’opinione pubblica. Infine, la scottante questione del debito pubblico.
Il patto prevede, per i Paesi con un rapporto tra debito e Pil superiore al 60% (in Italia è intorno al 134%), l'obbligo di ridurre il rapporto di almeno 1/20esimo ogni anno, fino a raggiungere il rapporto considerato sano del 60%.
Gli italiani favorevoli al rispetto della prescrizione sono il 25%, mentre la maggioranza relativa (44%) si schiera per una rimodulazione dell’ipotesi (la restante quota del 33% non sa).
L’opinione pubblica è sfibrata dalle sirene dell’austerity. Per affrontare l’annoso problema del debito pubblico (certamente con una buona dose di autoassoluzione) la maggioranza degli italiani (59%) preferisce ipotesi di sostegno alla crescita e agli investimenti, mentre solo il 25% resta sui bastioni dei tagli alla spesa e al welfare.
All’origine dei sentimenti di avversione per i vincoli di bilancio posti dai patti europei non c’è solo l’antieuropeismo di non pochi segmenti del Paese, o la ricerca di vie indulgenti verso gli errori e gli sprechi del passato, ma c’è, soprattutto, il bisogno di vedere squarci di futuro, di cogliere brandelli di proposte per il domani. C’è la voglia di far ripartire il Paese, di scrollarsi di dosso il piombo della crisi, di avere persone, leader, una classe dirigente, in grado di delineare ipotesi concrete per la ripresa.
Ripartire. Gli italiani vogliono sentire parlare di futuro e non ne possono più di austerity, vincoli, norme europee, di buchi, disastri economici, fallimenti bancari e di furbetti impuniti di vario genere. In molti sono coscienti che il debito pubblico è un macigno, ma l’obiettivo, per il 72% degli italiani, è allentare, mitigare le pulsioni rigoriste per aprire una nuova stagione di investimenti per la crescita. Il tema del fiscal compact, che agita le acque della politica e dei media, s’inserisce in questo quadro.
Su di esso le idee dell’opinione pubblica, pur nella nebulosa complessità dell’argomento, appaiono sufficientemente delineate.
Il fronte dell’allentamento dei vincoli è composto dal 73% degli elettori del PD, dal 64% di quelli di Forza Italia, dal 59% dei leghisti e dal 53% dei grillini.
Non devono stupire i dati un po’ calmierati delle platee elettorali tradizionalmente antieuropeiste. La conclamata tendenza italica alle tifoserie è sempre all’opera e alimenta l’abitudine a schierarsi in base all’autore delle proposte e non al loro contenuto. Nonostante tale predisposizione d’animo, le ipotesi d’intervento sul fiscal compact riescono a valicare il Rubicone della metà del Paese, con il 51% degli italiani schierato per l’allentamento delle regole, mentre solo un quarto si colloca su posizioni di osservanza del rigore europeo (il restante 25% non ha ancora sciolto la riserva). La discussione che si è aperta ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione su un tema molto lontano dal quotidiano vivere delle persone.
Così, improvvisamente, gli italiani hanno scoperto che cosa è il “fiscal compact” e hanno iniziato a conoscere, almeno in maggioranza (54%), i contenuti del “trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione”. Scorporando i diversi aspetti del patto di responsabilità di bilancio, è possibile cogliere le valutazioni degli italiani sulle singole prescrizioni.
Partendo dall'obbligo dell'inserimento di pareggio di bilancio (il sostanziale equilibrio tra entrate e uscite) nella carta Costituzionale, scopriamo che la maggioranza relativa del Paese (il 47%) è avversa a tale dettame.
Investire sul futuro, non solo limiti e vincoli
L’obbligo, in Costituzione dall’aprile 2012, dovrebbe essere cancellato (per il 18% dei cittadini) o almeno ridotto (29%), mentre sulla linea della preservazione di schiera solo il 24% del Paese (il restante 29% per ora non si pronuncia).
Sorte analoga tocca al vincolo dello 0,5% di deficit “strutturale” (non legato a emergenze) rispetto al prodotto interno lordo. La modifica dell’obiettivo è sostenuta dal 44% dell’opinione pubblica, mentre a sua difesa si erge solo il 17%. Deciso il no all'obbligo di mantenere al massimo del 3% il rapporto tra deficit e Pil: il via al tetto è agognato dal 47% (comprendente il 15% di quanti sono per la cancellazione totale della prescrizione), mentre il fronte della sua salvaguardia è rappresentato dal 20% dell’opinione pubblica. Infine, la scottante questione del debito pubblico.
Il patto prevede, per i Paesi con un rapporto tra debito e Pil superiore al 60% (in Italia è intorno al 134%), l'obbligo di ridurre il rapporto di almeno 1/20esimo ogni anno, fino a raggiungere il rapporto considerato sano del 60%.
Gli italiani favorevoli al rispetto della prescrizione sono il 25%, mentre la maggioranza relativa (44%) si schiera per una rimodulazione dell’ipotesi (la restante quota del 33% non sa).
L’opinione pubblica è sfibrata dalle sirene dell’austerity. Per affrontare l’annoso problema del debito pubblico (certamente con una buona dose di autoassoluzione) la maggioranza degli italiani (59%) preferisce ipotesi di sostegno alla crescita e agli investimenti, mentre solo il 25% resta sui bastioni dei tagli alla spesa e al welfare.
All’origine dei sentimenti di avversione per i vincoli di bilancio posti dai patti europei non c’è solo l’antieuropeismo di non pochi segmenti del Paese, o la ricerca di vie indulgenti verso gli errori e gli sprechi del passato, ma c’è, soprattutto, il bisogno di vedere squarci di futuro, di cogliere brandelli di proposte per il domani. C’è la voglia di far ripartire il Paese, di scrollarsi di dosso il piombo della crisi, di avere persone, leader, una classe dirigente, in grado di delineare ipotesi concrete per la ripresa.